PRESENTAZIONE de “I PELAGRA” di GIUSEPPE FURLANO – 16/8/2015
La manifestazione organizzata dal sito internet www.francavillaangitola.com, sotto l’egida della Amministrazione comunale, era stata programmata per martedì 11 agosto all’anfiteatro di Pendino; poi, a causa del maltempo, è stata rinviata a domenica 16 agosto per svolgersi nel Salone del Consiglio comunale. Era presente l’autore del libro, Giuseppe FURLANO, nativo di Asti, ma molto legato a Francavilla; sono stati i genitori, e soprattutto la madre, ad instillare nel figlio Pino un amore profondo per il paese e per tutto ciò che concerne il piccolo mondo francavillese (la parlata, i riti religiosi, le leggende, le antiche usanze, la vita contadina, le tradizioni gastronomiche …).
Il Sindaco, avv. Antonella BARTUCCA, ha salutato gli astanti e si è congratulata con l’autore che, con i suoi pregevoli libri, ha fatto conoscere positivamente il mondo e la gente di Francavilla andando ben oltre la cerchia dei francavillesi emigrati ad Asti e dintorni. La presentazione de “I Pelagra” è stata condotta dal dottor Davide PISERÀ, che ha subito svolto la relazione principale, assai apprezzata dal pubblico e sopra tutto dall’autore. Il secondo intervento è stato esposto dall’ing. Vincenzo DAVOLI.
Ha chiuso i lavori l’autore Giuseppe Furlano, ringraziando anzitutto il Sindaco, il dott. Piserà e l’ing. Davoli per i loro interventi, e rispondendo pacatamente e puntualmente a domande ed osservazioni avanzate da alcuni dei presenti.
La serata è stata filmata da Giuseppe Pungitore, che tanto si è prodigato a organizzare la manifestazione. Qui di seguito sono riportati i testi delle relazioni di Piserà e di Davoli.
Recensione libro “I Pelagra” di Giuseppe Furlano
A cura di Davide Piserà
In premessa vorrei esprimere in tutta onestà intellettuale la mia compiacenza per l’importante contributo antropologico, pedagogico e sociologico che l’opera di Furlano trasmette al lettore sin dalle prime righe. È veritiero ed assolutamente intriso nelle pagine, che ho letto con grande interesse, il sentimento dell’autore e la voglia di scoprire le proprie origini attraverso i ricordi di sua madre che, anziana e provata dalle fatiche della vita, dalla stanza nella casa di riposo (“Casa mia”, come lei la chiamerà nel libro) in cui trascorre gli ultimi anni della sua esistenza, racconta al figlio la storia legata all’emigrazione dal paese di Francavilla Angitola per raggiungere Asti, un luogo da lei inesplorato che avrebbe dovuto significare un nuovo domani, più prospero e felice rispetto alle aspettative offerte dal meridione.
La madre racconta a Furlano i primi quattordici anni della sua esistenza, narrando con grande dignità e forza d’animo – nonostante l’ictus avuto – anche i ricordi più dolorosi incitando lo stesso autore a reagire al peso degli stessi, come traspare nel paragrafo dedicato alla scomparsa del padre.
Taluni episodi, soprattutto nella prima parte del libro, risultano ripetersi da paragrafo in paragrafo arricchiti sempre da maggiori elementi descrittivi; ne sono un esempio l’arrivo alla stazione ferroviaria; il primo giorno di collegio; il continuo trasferirsi dalla vecchia alla nuova abitazione da parte di tutta la famiglia; “Il Padrone” dei possedimenti agricoli che, come un aguzzino, decideva le sorti delle famiglie assorte al suo volere; gli “scottex” stretti al grembo dalla madre in casa di riposo; le insegnanti al collegio e la, velata, volontà di evadere da una realtà di sofferenza che traspare, anche se non esplicitamente espressa, dalle pagine de “I Pelagra”.
Come scritto in premessa, questo libro fornisce un importante contributo antropologico a quella che è stata, da sempre, la storia del Sud; una storia fatta di emigrazione, di sofferenza e di “viaggi”. È proprio nel viaggio che, dal 1900 in poi, sino al secondo dopoguerra, famiglie soprattutto calabresi con in mano una piccola e fatiscente valigia di cartone percorrono con mezzi di fortuna l’Italia andando al Nord a lavorare nei campi o nelle fabbriche, o attraversano l’oceano in direzione degli Stati Uniti o del Canada con nulle certezze, ma con tanto coraggio. È nel viaggio stesso che si scrive la storia di un popolo, da sempre vittimizzato dai media e coperto dalla negativa propaganda del “malaffare”. Tra Nord e Sud l’Italia manifesta ancora diversi dissapori, si leggeva non troppi anni fa la targa: “Non si affitta a meridionali”; divenuta col tempo un’icona del rifiuto da parte di molti del livellamento dei diritti umani e politici tra gente che vive oramai nelle stesse città. Pensiamo quanto possa essere stata grande la sofferenza dei genitori dell’autore di trasferirsi in una città semisconosciuta per il padre e totalmente sconosciuta per la madre; di quanto possa esser pesato il sudore su quelle fronti tese a racimolare un tozzo di pane da dividere con i propri figli. Ecco la prospettiva antropologica dello scritto di Furlano, il concetto del “viaggio” come veicolo di esperienze umane, di ambizioni, di sogni e di memorie. Da qui un’espressione non a caso dello stesso autore, il quale si identifica come “nato in viaggio”; come figlio di quella lunga traversata in treno che attendeva la sua venuta al mondo. Nel corso degli anni sul tema dell’emigrazione del Sud è importante ricordare l’InternationalSymposium on Italian-Canadian Studies, organizzata all’interno del Campus della York University di Toronto, di cui il prof. Cesare Pitto – ordinario di Antropologia Culturale presso l’Università della Calabria – parla apertamente nel suo testo: “Oltre l’emigrazione. Antropologia del ‘non ritorno’ delle genti di Calabria” (Falco Ed., Cosenza, 2009); simbolo come l’emigrazione di queste genti sia divenuta un’icona di cultura e studio a carico degli antropologi, dei linguisti, dei sociologi, dei pedagogisti e degli psicologi di tutto il mondo.
Nella strada che il piccolo Furlano percorre mano nella mano con la madre per recarsi al collegio che l’avrebbe ospitato sino al sorgere dell’adolescenza spiccano tutti gli elementi pedagogico-educativi del racconto. Il concetto di “strada” come percorso di crescita e di sviluppo emotivo ed umano, il gioco alle biglie con i coetanei, la fantasia, gli esercizi di scrittura, l’aria aperta, il ritorno nel fine settimana dai propri cari e percepirne le sofferenze sui loro volti, i conflitti intra ed extra familiari, il grembiule e le scarpe di cuoio che, in certi punti ricordano un po’ il libro “Cuore” di De Amicis, gli amici d’infanzia, l’attaccamento con alcuni ed il distacco con altri. C’è tanta pedagogia soprattutto nella seconda metà del libro, così come v’è un pizzico di psicologia e un’abbondante presenza di sociologia. La prima parte la definirei, come precedentemente scritto, abbondantemente antropologica che riconduce in parte al pensiero dell’antropologo Oscar Handlin, con la sua celebre frase: “L’immigrazione cambiò l’America, ma cambiò anche gli emigranti” (The Unprooted, Atlantic-Little Brown Book, Boston-Toronto, 1955, p. 4), ai racconti di De Martino, come: “Il campanile di Marcellinara” (C. Pitto, cit.), per non scordare poi grandi meridionalisti come Villari, Cuoco e Broccoli uniti in difesa degli emigranti calabresi.
Non è semplice recensire un’opera dal titolo “duro” come “I Pelagra”, più simile ad un diario che ad un romanzo, con un’anima semplice e sensibile, ma con uno spirito teso al raggiungimento della verità sulle proprie origini. Struggenti gli incontri con la madre alla casa di riposo, più impostati e in minor quantità presenti quelli col padre, seppur particolarmente sentiti nel suo “ultimo respiro” col pentimento, a causa dei precari mezzi di trasporto, di non essere “forse” riuscito ad arrivare in tempo. Tramite i ricordi della madre, Giuseppe conosce la popolare festa di San Foca, i prodotti tipici, come i filatiedj ed i zippuli, ma conosce soprattutto il luogo in cui sarebbe dovuto nascere e crescere. Con quest’opera Furlano non racconta esclusivamente le vicende legate alla sua prima parte di vita, ma regala a Francavilla e alla Calabria un libro ricco di memoria e testimonianza che, forse, il Sud stesso tende spesso a riporre in un cassetto, dimenticandosi della sua storia.Questo libro colma un divario generazionale, quello degli anziani e dei giovani, tramite la memoria, l’attaccamento mai taciuto nei riguardi della propria terra nativa e il senso di “spaesamento” mai colmato in regione, al tempo, straniera.
L’autore, piemontese di nascita, ma calabrese nel cuore, rappresenta sulla propria pelle che la memoria e l’amore per la propria terra e le proprie genti sopravvivono sempre, nonostante la distanza e nonostante le inibizioni mentali di chi tuttora non accetta le differenze.
“I pelagra” va letto tra le righe, non contano molto i fatti narrati, ma le emozioni vissute. Le emozioni vere, che sopravvivono per sempre. È un’opera che mi ha emozionato molto, che consiglio ai nostalgici, ma particolarmente ai giovani nelle scuole, da Nord a Sud, poiché imparino a rispettarsi come fratelli e non più schernirsi come figli di terre diverse. Questo libro unisce due anime, fornisce un valore aggiunto all’antropologia contemporanea e insegna che la memoria, la storia e il bene, quello autentico e disinteressato, non cessano mai di esistere.
Dr. Davide Piserà – Pedagogista
INTERVENTO DELL’ING. VINCENZO DAVOLI
Ho trascorso gran parte della mia esistenza in Piemonte (Moncalieri, Torino, Pinerolo) e mi è stato facile andare qualche volta sia in alcuni luoghi (come Asti e dintorni) sia in determinati momenti (in particolare l’estate del 1961) evocati da Giuseppe Furlano in questo suo ultimo libro “I Pelagra”, pubblicato sul finire del 2014. Nel 2011 e nel 2012 ho avuto il piacere di leggere i primi due volumi di questa, che io oso definire “indissolubile trilogia”; dapprima il volumetto, di racconti autobiografici e poesie, intitolato “Pittindiani”; e poi la raccolta di altre poesie e racconti “piemontesi” intitolata “Parole di sempre”. In questo mio intervento mi limiterò a riferire le impressioni che ha suscitato nella mia mente e nel mio cuore la lettura dell’intera trilogia e soprattutto dell’ultimo volume.
Il primo volume “Pittindiani” aveva come ambiente l’ameno paesaggio collinare di Francavilla, reso ancora più bello e luminoso dalla vicina incantevole costa tirrenica, profumata e intrisa delle fragranze resinose dei pini e degli eucaliptus, delle zagare e delle ginestre, ravvivata dagli intensi colori dei fichidindia.
In “Parole di sempre” il paesaggio evocato da Pino Furlano è quello della campagna astigiana costeggiata dal fiume Tanaro, con sullo sfondo le maestose montagne piemontesi; ma immagino che la montagna amata da Pino sia quella delle dure arrampicate, delle faticose scarpinate tra gli spuntoni di roccia, qua e là punteggiati da rododendri e genziane, talvolta ravvivati dalla nobile e rara “stella alpina”. Una montagna assai diversa da quelle delle moderne, anonime stazioni di sci alpino, dominate dal baccano, dalla velocità degli sfreccianti discesisti, dai rumori e stridori di motoslitte. bob, skilift e impianti vari di risalita.
Ma soffermiamoci ora sul terzo volume della trilogia, appunto su “I Pelagra”. Subito dalla copertina e dal titolo si presenta come libro concepito, scritto, stampato e ambientato in Piemonte, e perciò inserito in una collana intitolata “Biblioteca degli scrittori piemontesi”, contrassegnata da un emblema assai caro a Pino, la stella alpina, regina dei fiori delle Alpi. Sennonché la musa ispiratrice di questo, come pure dei precedenti libri, è una donna di Calabria, ossia la madre dell’autore, indicata non col suo vero nome,Vittoria, ma con il nome “Teresa”. Ed è stata appunto la madre ad aver instillato nel figlio un amore speciale per Francavilla, confidandogli manciate dei suoi ricordi e dei suoi pensieri, raccontandogli delle sue tradizioni e delle sue storie, mettendoci la passione di chi le origini, non solo le ha nella mente e nel cuore, ma ci ha convissuto.
Cinque o sei anni prima di conoscere Pino Furlano, io ebbi modo di incontrare, due o tre volte, la madre e la sorella Idelma. A dire il vero allora le ho conosciute non già come madre e sorella di Pino, ma invece come sorella e nipote di Antonio Furlano, soldato francavillese morto e disperso in Africa Orientale durante la 2ª guerra mondiale, e perciò giustamente segnalato nel Monumento ai Caduti. Ricordo che la Signora Furlano sulle prime rimase sorpresa e stupita che un forestiero come me si occupasse delle vicende del suo sfortunato fratello disperso in Etiopia, ma poi, sollecitata e spronata dalla figlia Idelma, anch’ella ansiosa di apprendere qualcosa sulle vicende dello zio Antonio in Etiopia, mi riferì diversi particolari delle avventure africane del suo caro fratello, della sua grande amicizia con Angelo Curcio senior, che gli era stato compagno nella spedizione in Abissinia, delle missioni esplorative all’interno di quell’immenso e misterioso territorio, di qualche battuta di caccia o cattura di serpenti, di escursioni e visite a località allora famose, come Adua, Gondar, Macallè. Oltre a queste preziose informazioni,Vittoria con la sorella Maria, anch’ella emigrata ad Asti, si premurò di spedirmi da lì una bella fotografia a figura intera, che io ho poi inserito nel mio libro, nel capitolo appositamente dedicato al Caduto Antonio Furlano, loro fratello primogenito. Allora con la madre e con Idelma non parlai mai di Pino, che in verità non conoscevo neppure di vista. E dunque, quel che ora conosco della fanciullezza e giovinezza di Pino, tutto quanto l’ho appreso leggendo i suoi libri di racconti e poesie, pubblicati a partire dal 2011.
Ora ho letto con molta attenzione e viva curiosità le pagine de “I Pelagra” e così sono sorprendentemente affiorati i ricordi di certe vicende capitatemi ad Asti nella mia giovinezza. Nei primi dodici anni del mio soggiorno in Piemonte ho abitato a Moncalieri e ho studiato come esterno nel locale Ginnasio Liceo Classico “Carlo Alberto”. Essendo un istituto pareggiato, la 3ª liceo del “Carlo Alberto” per gli esami di Maturità era sempre aggregata al Liceo Statale “Alfieri” di Torino. Ma nel 1961, nel centenario dell’Unità d’Italia, rievocato anche da Furlano sotto il nome di “Torino 61”, la mia classe fu aggregata in via eccezionale con il Liceo “Vittorio Alfieri” di Asti. Così nel luglio del 1961 andai diversi giorni ad Asti, prima per assistere alle interrogazioni di altri candidati, poi per sostenervi le mie prove orali in due giorni distinti, ed infine per leggere i risultati degli esami di Maturità che io superai regolarmente in quella sessione estiva. Ora leggendo “I Pelagra” vengo a scoprire che proprio nell’estate 1961, mentre io mi trovavo ad Asti per sostenervi gli orali della Maturità, il quattordicenne Pino realizzava finalmente il suo sogno di scendere per la prima volta in Calabria e conoscere Francavilla, terra dei suoi genitori. Quale strana, imprevedibile concomitanza!
E comunque, se qualcuno d’ora in avanti mi chiedesse in quale anno Pino Furlano scese per la prima volta a Francavilla, risponderei con sicurezza: Non perché io lo incontrai a Francavilla, ma perché nell’estate di quel 1961 ho conseguito la Maturità, il traguardo più importante dei miei studi liceali, proprio ad Asti, la città di Pino Furlano.
Tornando alle vicende e memorie riportate nei libri di Furlano, mi trovo pienamente d’accordo con quanto è scritto sulle copertine dei suoi libri: “Dalle esperienze ricavate nel relazionarsi con la gente, fra la gente, dall’attivismo sindacale e nel volontariato sociale, oggi, stimolato dal desiderio di condividere riflessioni ed emozioni provate nel tempo, le propone nei suoi racconti e poesie, scritte negli anni, essenzialmente per sé e finalizzate alla ricerca interiore della propria identità. Un’attenzione rivolta soprattutto agli anziani, dialogando anche nei silenzi più profondi. Con la propria madre, depositaria di ricordi e riflessioni in cui trova risposte alla sua necessità di ritrovare quando possibile, profumi e tradizioni tornando in quella terra di origine …”
Non voglio guastare, con le mie modeste e prosaiche parole, le mirabili toccanti pagine che Pino ha dedicato alla madre. Pagine intrise di ineffabile delicatezza sono le rievocazioni delle visite, degli incontri, delle tacite intese, degli sguardi quasi furtivi scambiati tra madre e figlio nella Casa di riposo dove la mamma trascorse gli ultimi anni di vita. Leggendo di queste visite alla Casa di riposo m’è tornato in mente un episodio di per sé irrilevante e che perciò avevo dimenticato. Verso il 1985, o giù di lì, nel tardo inverno o all’inizio di primavera, nel primo pomeriggio di una domenica, accompagnai ad Asti con la mia macchina due giovinette allieve della scuola di balletto del Teatro Nuovo di Torino. Le giovani, con altre loro compagne, dovevano esibirsi in un piccolo saggio di danza classica in una Casa di riposo per anziani di Asti, per rallegrare con le loro leggiadre evoluzioni e ardite piroette gli anziani ivi ricoverati: un breve intermezzo di serena allegria nelle monotone, tristi, sempre uguali giornate degli ospiti di quella Casa. Ora, dopo aver letto “I Pelagra”, sono venuto a sapere che la Casa di riposo, dov’ero capitato trent’anni fa, è quella dove poi venne ricoverata la madre di Pino Furlano. Pertanto, da un punto di vista strettamente personale, m’è dolce ringraziare Furlano perché i suoi libri mi hanno indotto a ricordare alcune mie frequentazioni nella città di Asti, di cui una, quella del saggio di danza nella Casa di riposo, avevo completamente dimenticato.
E ancor più desidero manifestare il mio più vivo apprezzamento a Giuseppe per il grande coraggio che ha avuto nello scrivere questi tre libri sul proprio passato. E l’ha fatto con lodevolissima onestà, senza reticenze, senza omettere di raccontare vicende, episodi, situazioni, personali e familiari, dolorose, tristi e talvolta imbarazzanti. Per tali caratteristiche la trilogia finora scritta da Giuseppe Furlano non è solo una piccola e pregevole collana letteraria, ma è un’opera di altissimo valore morale, civile ed umano.
Scrivendo e pubblicando i suoi tre volumi, Furlano è stato artefice di una vera e propria “emancipazione” personale: si è liberato dai patimenti e dai gravami della povertà materiale sofferta nella sua fanciullezza e giovinezza; si è liberato dai pregiudizi e dalle maldicenze di certa gente malevola; si è affrancato da chi era stato Padrone di importanti e primari beni materiali, come le terre (dove i suoi avevano faticosamente lavorato) e le case (dove la sua famiglia aveva precariamente alloggiato) ed infine si è sciolto dal giogo di chi voleva essere addirittura Signore dispotico della vita di lui e dei suoi familiari.
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Il Comune di Francavilla Angitola in collaborazione con il sito www.francavillaangitola.com presentano il volume di memorie
“I PELAGRA” di Pino Furlano 11 agosto 2015 ore 21.15 RELATORI Dr. Davide Piserà - Pedagogista, Avv. Antonella Bartucca – Sindaco, Ing. Vincenzo Davoli – Storico, Pino Furlano - Autore del libro.
“I PELAGRA” LA STORIA DI UNA FAMIGLIA che nel secondo dopoguerra scende dal treno alla stazione di Asti emigrando dal Meridione Pelagra veniva definito chi viveva in condizioni di estremo disaggio, ai limiti della sopravvivenza. L’autore ripercorre i primi anni della sua esistenza, facendo riaffiorare toccanti episodi della vita in collegio e dei suoi genitori. Furlano è nato ad Asti dove tuttora vive e lavora. Figlio di genitori calabresi, dice di aver assunto le due anime : quella d’origine e quella delle colline del Monferrato. In precedenza ha pubblicato “Pittindiani” e “Parole di sempre”. |